Coltre d'acqua candida


A scroscio inseguendo
saliva d'acqua
candida
succo inoltrato
per carpire
segreto.

Se ho voglia, è soltanto
Di terra e di pietre.
Il mio pranzo è sempre aria,
Roccia, carbone, ferro.*

 
Tra le pieghe
del foglio
smarrito sta
il tuo sonno
sotto la coltre
delle ore. Attendo
masticando ebano
per digerire
inchiostro.

Girate, mie fami. Brucate

Il prato dei suoni.
Succhiate il gaio veleno
Delle campanule.*
 
Sulla palude

incredula
calca la mano
l'osso della
mia lingua.
Man-sarda di
pietra. E coltivo
l'eco come
fossero gigli.


M. C. T.


* A. Rimbaud, Fame, in Una stagione in Inferno.

Immagine Labbra, Federica Lampis

Deriva di occhi grandi


Al largo degli occhi grandi
è rimasta incagliata
la deriva smistando
labbra incuneate
fra pettini d'osso
e rumore di risacche.

Una donna tirò tesi i suoi lunghi capelli neri
E arpeggiò musica di bisbigli su quelle corde
E pipistrelli con facce di bambini nella luce viola
Fischiarono e batterono le ali*


Appesa a guanti
che imitano braccia
dimentica carezze
raggranellate tra le ore.
Spazzolando capelli
e noia. Esatto è il suo
tempo di laguna.

E strisciarono a testa in giù lungo un muro annerito
E rovesciate nell'aria c'erano torri
Risuonanti di campane rievocatrici, che segnavano le ore
E voci cantanti dal fondo di vuote cisterne e pozzi esauriti.*


Scricchiolando
fra pagine inespresse
dipingo il volto
cancellando espressione.
E intessendo capelli
faccio maschere.
Del pizzo restante e
le sue ore.



M. C. T.


* T. S. Eliot, La terra desolata, in Ciò che disse il tuono, p. 139.
Immagine Dame, Federica Lampis.

L'ira mesta di Salomè...


Accogli la forma
e fanne ginestre
calcando doverosamente
l'ira mesta e frammenti.

Sono il volo dell'urlo, l'insinuazione dell'essenza,
vengo a svegliare la giungla e i suoi marinai
per divampare invado le vostre fontane
su ogni luogo poso la mia azzurra mano.*

Trecce di bambola
ad occhi spalancati
insonni assidui
a fissare l'orizzonte
di domani.

Mi avete udita prima che raccontassi,
mi avete vista prima che apparissi,
mi avete amata prima che mi espandessi.*

Santifico l'orecchio
e il suo dolore
macinando nell'otre
mosto vecchio
e parole di lingua lontana.

Sono il superstite e il boia,
sono l'azimut,
dove scappate, mentre mi correte incontro?*

Ho la corsa smarrita
nei polmoni
e l'osservazione
svanita sul fondo dell'occhio.
Accolgo la forma
e ne faccio ginestre.

Marie a déja souffert toutes les peines de l'enfer,
on va à lécher ses piedes, elle à tué sa mère...**


M. C. T.


* J. Haddad, Canto di Salomè figlia di Lilith, in Il ritorno di Lilith.
** C. Consoli, Marie ti amiamo, dall'album Elettra.

Silenziosa carezza temporale


Al largo della distesa
del tempo
in silenziosa
attesa armando
le ciglia di orpelli
di polvere.

Vedo le loro due teste, di profilo, illuminate da una piccola lampada da comodino: la testa di Jean-Marc appoggiata sul cuscino, quella di Chantal china su di lui, a pochi centimetri dal suo viso. Lei diceva: «Non staccherò più gli occhi da te. Ti guarderò continuamente».*

Fatti di sguardi
composti
arricciati sulle
onde attigue di
polsi all'incrocio.

E, dopo una pausa: «Ho paura, quando le mie palpebre si abbassano. Paura che nell'attimo in cui il mio sguardo si spegne al tuo posto si insinui un serpente, un ratto, o un altro uomo».**

Lisciando con dita
ferme
il rifluire del tempo
carezza temporale
all'abbraccio insolito.

Lui cercava di sollevarsi un poco per poterla sfiorare con le labbra.
Lei scuoteva la testa: «No, voglio soltanto guardarti».
E poi: «Lascerò la lampada accesa per tutta la notte. Tutte le notti».***

Farsi beffe della
luce albeggiando
immobile tra gli
occhielli alla finestra.
Irrido innocente
la notte. Ai miei
polsi monili di serpi.


M. C. T.


* M. Kundera, L'identità, p. 175.
** Ivi, p.176.
*** Ibid.
In immagine Stehende Frau in Rot, 1913, Egon Schiele.